Secondo questa antichissima usanza pastorizia, la transumanza, quando il clima diventava troppo rigido o viceversa troppo arido, le mandrie si spostavano o verso le "marine" – qundo era freddo – o verso la colline - quando faceva troppo caldo.
Il tutto era una faticosissima pratica da svolgere a piedi. Pastori, mandrie, cani e campanacci impiegavano anche lunghissime giornate per migrare verso territori più consoni al pascolo e alla sopravvivenza delle greggi.
In sicilia come in gran parte dell'italia rurale, questo era l'unico modo per garantirsi il "pane quotidiano", almeno per i pastori.
Ma Palermo, città dalle mille contradizioni, e i palermitani, cittadini del paradosso, forse volendo essere più innovativi dei loro connazionali, hanno pensato di rompere ben presto le loro radici poco pastorizie per coniare mode e usanze più creative e in linea con il loro essere flessibilmente effimeri come la moda impone.
Ecco così una transumanza di idee e comportamenti che a secondo delle mode che si avvicendano nella città, migrano da una piazza all'altra ma non si scollano dalle balate.
Sarebbe stato più logico e prevedibile "usare" e sfruttare ciò che di bello e utile può donare, il mare una volta abbandonati i campi. Ma anche qua Palermo sorprende perchè il rapporto con le sue acque è stato più temuto che desiderato. E i paermitani hanno preferito andare controcorrente ed essere inconsapevolmente eccentrici inglobando una moda tutta loro nella quale si sono fagocitati ed autoesclusi quasi compiacendosene.
Del mare i palermitanni hanno l'idea quasi di dono divino che di dono ha però ben poco. Dal mare sono venuti gli invasori, dai fenici ai piemontesi, che hanno depredato e invaso. Ecco quindi il rifiuto dilagante e stagnante. Una moda stigmatizzata, una credenza cristalliazzata ancora ai giorni nostri. Il mare nemico, ambiguo, portatore di disgrazie e sciagure. Sembra quasi un pensare alla moda in modo angoscioso.
I palermitani hanno la strana propensione all'autovittimismo, al voler cercare a tutti i costi il marcio, il sudicio, la colpa anche laddove è evidente la ricchezza e la floridezza. Il bene donato è per loro dovuto non richiesto; di questo ne fanno un vanto perchè loro, cittadini sopra le righe meritano questo e altro, loro popolo eletto e toccato dalla benevolenza divina.
I palermitani soffrono di un radicato quanto inconsapevole complesso di superiorità. Tutto è motivo di vanto persino l'arroganza maleducata diventa moda di pensiero e azione aldilà di ogni status.
Hanno la rara capacità di mettersi al centro del mondo, sono fermamente convinti che tutto giri intorno a loro e se le cose vanno male è comunque per colpa degli Altri... . Pronti ad puntare il dito contro l'altro per esorcizzare il timore di guardarsi dentro.
Un'etica del perfezionismo tutta auto referenziale che ruotando su se stessa finisce con il distruggersi. I palermitani non fanno nulla per senso civico comune, per consorziare i loro beni e interessi nell'ottica di un miglioramento o di un perfezionamento.
La posizione di sottomessi quasi li accomoda in un torpore e in una rassegnazione "verghiana". Amano fare la bella vita davanti lo straniero, l'ospite; ma non sanno comandare a casa loro. E a casa loro diventano i vinti, i conquistati, i colonizzati. Mandrie di Pecore che silenziosamnete obbediscono al pastore di turno.
Amano soffocare di attenzioni e riguardi l'amico , il visitatore, non per reale senso di ospitalità bensì per ostentare il finto benessere cosicchè se ne parli e ci si ricordi che a Palermo cè gente ricca e potente e che gli "amici veri", i "galantuomini", la gente di "rispetto" si trova solo qua.
Altro paradosso tutto palermitano. Sono pronti ad immolarsi come agnelli al sacrificio dell'onorata società per gli stessi motivi per i quali l'onorata società li sacrifica sull'altare dell'onore. Quasi un rituale precostituito dove si avvicendano le tecniche sacrificali secondo le mode e le circosatnze; ma il pensiero, la credenza, rimangono schiavi sottomessi e volontari.
Non è l'incapacità di ribellarsi che manca, bensì è l'orgoglio dell'appartenenza al "gruppo" che prevale.
L'ambiente insegna che solo chi sottomette merita rispetto. In nome di questo rispetto, si tradisce, si complotta, si pascola nel prato più verde calpestando sfrontatamente anche il proprio sangue. Madri che rinnegano figli, figli che coprono padri, padri che consegnano figli..... non si può neanche più chiamarla mafia ma è solo frutto di pura decadenza culturale tutta palermitana.
A Palermo più sei spregiudicato più sei rispettato. La storia della città è piena di casi in cui la speranza di una manna, di un miglioramento, di un domani lavorativo o sociale, è legata ai voleri del signorotto gattopardesco che tutto sistema e nulla fa.
Palermo, quinta città più popolosa d'Italia, onora ancora oggi la pratica della transumanza con una variante però: le mandrie non sono inconsapevoli e disciplinate pecorelle devote al buon pastore bensì voraci schiavi alla mercè dello più spietato scafista.
Katia Manenti
Nessun commento:
Posta un commento