Miccichè e Cuffaro ci dicono di volere solo il bene dei siciliani e che ciò giustifica le intenzioni e le azioni politiche di entrambi. Se non ché, differendo le modalità perseguite dai due, ci si pone il problema di stabilire chi di essi dica la verità e se questa, eventualmente, sia già contenuta nelle loro intenzioni! A ben vedere è alquanto problematico stabilire cosa sia effettivamente la “verità”. Anche a scorrere superficialmente la letteratura sull’argomento ci si accorge facilmente di come essa sia inestricabilmente vincolata dalle teorie semantiche soggiacenti. Il punto si sposta, dunque, nel cercare di stabilire da quale base epistemologica si voglia muovere l’analisi per impostare un ragionamento che possa condurci ad elaborare una nozione di verità che, se non proprio assoluta, sia almeno coerente e, dunque, razionalmente accettabile. Effettivamente tale questione ha infiammato i dibattiti dei filosofi di ogni tempo, finendo col separare, almeno in tempi relativamente recenti, i fenomenologi, che distinguono i fatti e la percezione che abbiamo di essi, dai realisti, per i quali la nostra concezione del “significato” condiziona ciò che percepiamo come “fatti” (perfino il “riferimento” alla sostanza delle cose) e, conseguentemente, ogni storia che potremo raccontare su di essi. Non volendo impelagarsi nelle dispute specialistiche accennate, ci si può attenere alla considerazione che se si accetta che vi sono dei “fatti” che esulano dalla nostra considerazione, resta una mera realtà su cui è possibile sviluppare un materialismo che ne determina la visione storica e dunque una verità univoca; se invece si riconosce che la realtà è condizionata e/o persino costituita da chi la osserva, allora ogni interpretazione rimane relativa a chi racconta la storia, sia che egli si consideri più o meno pragmatico e/o “interno” alla storia stessa, sia che adotti “l’occhio di Dio” nel raccontarcela: in fondo per quel che ne sappiamo, potremmo essere solo dei “cervelli in una vasca”! Recentemente, perfino il Santo Padre è giunto a spiegarci che la realtà ed il messaggio del Salvatore è, sulla base delle testimonianze di cui disponiamo, se non altro storicamente accettabile, per cui è ragionevole e razionale riporvi la nostra fede, più che su altre storie che reggono peggio l’analisi falsificazionista, specie se sofisticata. Ora, tralasciando lo schieramento per “fede” politica e non pretendendo criteri così elaborati per le affermazioni dei politici di cui sopra, sarebbe troppo aspettarsi da loro maggiore franchezza nei comportamenti, così che potremmo disporre di criteri di discernimento ragionevolmente “accettabili” che ci permettano di stabilire chi di essi interpreta più coerentemente e, magari, concretamente meglio i nostri interessi, seppur tralasciando se dicano o no la verità?
Giovanni Vitale
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