Quando si dice che “l’essere umano non può non comunicare”, oggi, nel mondo della comunicazione globale, risulta essere un’asserzione ovvia, ma se vi si riflette un po’, specie se attrezzati con gli strumenti delle scienze della comunicazione, l’enunciato mostra la sua grande complessità. Da subito va considerato che non ci si riferisce solo alla comunicazione linguistica ma anche a tutto quel complesso di strategie di cui l’essere umano dispone e che genericamente vengono indicate come paralinguistica ma che nel dettaglio, e solo per citarne alcune, si distinguono in cinetica, mimetica, implicita, sottintesa, presupposta, presunta etc.; ovviamente alcune di tali strategie afferiscono, più o meno, all’universo della linguistica e, difatti, da sempre chiunque ha indagato i meccanismi che soggiacciono il linguaggio ne hanno tentato l’analisi e la classificazione. Sorvolando sugli aspetti più propriamente psicologici della questione, anch’essi studiatissimi, almeno da S. Agostino in poi e ricadenti sotto l’egida di quella che può risultare essere una peculiare caratteristica umana, ovvero l’intenzionalità, resta una aspetto praticamente costante della comunicazione linguistica e che solitamente viene indicato come “non-detto”. Tale aspetto della comunicazione, già accennata da Saussure, ha ricevuto una trattazione sistematica nel celebre saggio di O. Ducrot “Dire et ne pas dire” con cui qualsiasi studente di comunicazione ha dovuto, o almeno dovrebbe, confrontarsi! Di fatto quando noi diciamo qualcosa, a ciò che diciamo con le parole si aggiungono molte altre cose che non diciamo ma che, ciononostante, fanno parte integrante del significato di quanto viene esplicitamente detto. È appunto ciò che rende le lingue naturali alquanto ambigue o, per dirla con W. Quine, oscure e che ne rende difficile, quando non impossibile, la traduzione. Stabilire con esattezza il significato di quanto viene comunicato con un’enunciazione linguistica o con un gesto è perciò estremamente difficoltoso anche se ciò non toglie che noi, ordinariamente, comunichiamo e che, il più delle volte, riusciamo a comprenderci: non stiamo a porci ogni volta il problema di cosa o quanto ci viene detto, recepiamo una quota più o meno ampia di significato e reagiamo di conseguenza aspettandoci un’ulteriore reazione alla nostra azione che eventualmente contribuirà a chiarire il significato della conversazione. Ecco dunque che se, per esempio, io mando una bibita a qualcuno il significato del mio gesto acquisterà ulteriore significato da come chi la riceve reagirà al mio gesto, anche se solo col silenzio, aggiungendo ai miei i suoi non-detti…
Giovanni Vitale
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