Il 20 dicembre del ’76 Valéry Giscard d’Estaing, presidente della Repubblica Francese, diede incarico all’ispettore generale delle finanze di preparare un rapporto che permettesse di fare il punto su una questione che si intuiva sarebbe stata piuttosto importante nel prossimo futuro: l’informatizzazione della società. Circa un anno dopo, il presidente francese riceveva uno studio che sarebbe entrato a far parte della letteratura sulla comunicazione noto come “Rapporto Nora-Minc”, dal nome degli estensori. A seguito di quel lavoro furono istituite delle commissioni parlamentari, fra cui una denominata “Informatique et Libertés” che si occupava, fra l’altro, di uno dei problemi che allora sembravano più spinosi chiamato da noi “sindrome del pesce rosso”: riguardava la riservatezza dei dati sulla vita privata dei cittadini e, quindi, delle loro libertà civili. Si intuiva già che la progressiva informatizzazione e manipolazione dei dati avrebbe reso sempre più trasparente la personalità individuale, permettendo viepiù semplicemente di violarne la privacy. Il problema era già stato adombrato nella civilissima Svezia ma divenne argomento di pubblica discussione solo tre anni dopo con la pubblicazione del “dossier 5 di LE MONDE diplomatique”, mentre da noi avrebbe impiegato ancora molti anni per farsi spazio nelle menti dei legislatori! Oggi, nell’era di internet, ci troviamo di fronte ad un problema presumibilmente analogo: quanta e quali libertà possono limitare i motori di ricerca e chi li controlla? È un fatto, come ha evidenziato Ugo Piazza (v. 9 maggio), che alcuni governi hanno già individuato ed utilizzato tale potere nel verso restrittivo, non dovrebbero invece, almeno quelli liberali, procedere in senso opposto? E lo faranno se non saranno spinti dalla pubblica opinione?
Giovanni Vitale
Giovanni Vitale
Nessun commento:
Posta un commento